Fonte: https://www.anvgd.it/80-anni-fa-terminava-loccupazione-jugoslava-di-trieste-gorizia-e-pola/
a cura di Lorenzo Salimbeni – La folla sventola i Tricolori, canti patriottici risuonano lungo le strade, le truppe anglo-americane sfilano nell’entusiasmo della popolazione: è tornata la libertà, la guerra è finita. Scene che si sono ripetute in tutta Italia dallo sbarco in Sicilia nel luglio 1940 all’insurrezione generale del 25 aprile avvengono finalmente a Trieste, Gorizia e Pola, ma è appena il 12Ggiugno 1945. I plenipotenziari delle truppe tedesche in Italia hanno firmato il 29 aprile a Caserta la resa diventata effettiva il 2 maggio e a Trieste l’insurrezione del Comitato di Liberazione Nazionale il 30 aprile aveva consegnato agli insorti il controllo della città.
Tra quel 30 aprile ed il successivo 12 Giugno scorrono però circa quaranta giorni che segnano il destino della Venezia Giulia ed inaspriscono una lacerazione rispetto al resto d’Italia che aveva cominciato a palesarsi dopo l’8 settembre 1943, allorchè il collasso politico, militare ed istituzionale susseguente alla diffusione della notizia che era stato firmato l’armistizio aveva scaraventato l’Istria e la Dalmazia nel terrore della prima ondata di stragi nelle foibe ad opera dei partigiani comunisti jugoslavi. Sono proprio questi ultimi i protagonisti di quei quaranta giorni che differenziano l’arrivo della libertà, la fine del conflitto e la prospettiva di tornare alla democrazia nel confine orientale rispetto al resto d’Italia. Approfittando di un altro vuoto potere, originato dal crollo delle linee difensive tedesche che coprono la ritirata di truppe e collaborazionisti dalla Croazia e dalla Slovenia verso l’Austria, le avanguardie jugoslave erano giunte all’alba del primo maggio a Trieste, poche ore dopo a Gorizia ed il 3 maggio a Pola e a Fiume. Sarebbero poi giunti anche i soldati alleati che però avrebbero trovato una situazione già compromessa: le lancette dell’orologio spostate sul fuso orario di Belgrado, i rappresentanti dei CLN perseguitati e tornati in clandestinità, proclamazioni unilaterali di annessione alla nascente Jugoslavia comunista, retate della polizia segreta del dittatore Tito, la famigerata OZNA, a caccia non solo di fascisti e collaboratori dei nazisti, ma anche di chi si oppone al progetto annessionistico che sta suggellando dietro la copertura della bandiera rossa le mire del nazionalismo sloveno e croato nei confronti della Venezia Giulia.
Già Zara nel novembre precedente aveva vissuto questa esperienza, prima città italiana ad essere “liberata” dai titini e non dagli angloamericani, i quali nei mesi precedenti erano a dire il vero arrivati, ma solo con i propri bombardieri per devastare il capoluogo dalmata, cancellare le tracce architettoniche di italianità ed indurre la popolazione civile, a guerra in corso e con mezzi di fortuna, ad abbandonare la città dando inizio a quello che sarebbe stato l’Esodo giuliano-dalmata. «Zara è morta, nasce Zadar!» asserivano i caporioni jugoslavi prendendo possesso delle macerie del centro cittadino. «Trst je naš!» ribadivano le truppe del IX Corpus jugoslavo prendendo a fucilate la manifestazione di italianità del 5 maggio 1945 o dando copertura agli arresti arbitrari dell’OZNA, alle deportazioni nei campi di concentramento, a nuove stragi di massa nelle foibe e alla caccia al fascista quando per “fascista” si intendeva chiunque si opponeva all’annessione alla Jugoslavia.
Gli angloamericani c’erano, raccoglievano testimonianze e denunce di questi soprusi e violenze e ne davano notizia ai propri superiori. In quel momento tuttavia Tito era un alleato nella lotta contro il nazifascismo: appena l’8 maggio la Germania avrebbe capitolato. Tito era legato a Stalin e all’Unione Sovietica che, una volta debellata la Germania, doveva essere convinta a spostare le sue armate in estremo oriente per contribuire allo sforzo finale contro il Giappone. Gli angloamericani avevano perso la cosiddetta corsa per Trieste, perché erano arrivati dopo che i titini avevano preso possesso del capoluogo giuliano, ma essere comunque presenti, aver messo un piede nella porta (come disse Winston Churchill) consentiva loro di condurre trattative sulla sorte della regione. La testimonianza di quelle atrocità sarebbe tornata utile quando la coalizione antifascista si sarebbe concluso e si sarebbe palesata la differenza tra democrazie occidentali e totalitarismo sovietico. Il porto di Trieste, la base navale di Pola e la valle dell’Isonzo come collegamento verso l’Austria meridionale che gli Alleati avevano occupato: questi erano gli obiettivi di Londra e di Washington, in subordine c’era la clausola armistiziale sottoscritta con l’Italia per cui ci si impegnava a liberarne il territorio in cambio della resa incondizionata.
Il 9 giugno a Belgrado l’ufficiale britannico Morgan tracciò una linea di demarcazione, contrassegnando una Zona A, che comprendeva Gorizia, Trieste e la costa dell’Istria occidentale fino a Pola e sarebbe stata amministrata dall’esercito angloamericano. Fiume, il resto dell’Istria e l’entroterra triestino e goriziano sarebbero rimasti sotto controllo jugoslavo fino a quando la conferenza di pace non avesse stabilito i nuovi confini ufficiali. Il 12 giugno quell’accordo entrò in vigore dopo che a Duino i comandanti sul campo si erano accordati per definire gli ultimi dettagli: l’ostinazione jugoslava e lo scarso interesse angloamericano per le altre cittadine rivierasche fecero sì che solamente Pola, importante per il suo arsenale navale, entrasse a far parte ufficialmente della Zona A. Trieste, Gorizia e Pola festeggiarono finalmente la libertà e poterono manifestare il proprio patriottismo, il resto dell’Istria e Fiume continuarono ad essere assorbiti negli apparati della nascente Jugoslavia comunista.
didascalia: Tratta dal Centro di Documentazione della Foiba di Basovizza