Il ritorno del realismo tossico: potenza senza maschere



Pubblichiamo articolo a cura di Giordano Gomato, che ringraziamo per la gentile concessione, nel nuovo disordine globale, le dinamiche di potere stanno cambiando forma. L’equilibrio internazionale si muove verso una competizione sempre più esplicita, dove diplomazia, disinformazione, tecnologia e proiezione militare si intrecciano. Questo articolo analizza la direzione di marcia, tra ritorni storici e scenari futuri, nel tentativo di comprendere se stiamo assistendo a una transizione temporanea o a un nuovo ordine duraturo.

Nel nuovo disordine mondiale, le vecchie certezze si sono dissolte, lasciando dietro di sé un panorama crudo e disilluso. Il realismo geopolitico è tornato a dettare le regole, spogliato da ogni sovrastruttura ideologica e privato di codici condivisi. In un contesto sempre più frammentato, la competizione tra potenze si fa fluida, brutale, spesso priva di mediazioni.

Le Nazioni Unite, un tempo pilastro della diplomazia multilaterale, oggi sembrano confinate a un ruolo di supporto nei contesti dimenticati quelli che non minacciano equilibri globali né interferiscono con agende strategiche. Continuano a offrire un contributo fondamentale nell’assistenza umanitaria e nella gestione delle crisi trascurate, ma nelle grandi questioni geopolitiche la loro presenza è poco più che simbolica.

Nel vuoto crescente di governance, la Cina Popolare ha consolidato la propria influenza, affermandosi come attore sistemico e alternativa concreta all’ordine occidentale. La presidenza americana di Trump ha parzialmente contenuto l’avanzata cinese, soprattutto sul piano commerciale e tecnologico, ma ha lasciato spazi vuoti in ambito multilaterale. Attraverso la Belt and Road Initiative, la diplomazia coercitiva e una proiezione globale capillare, la Cina Popolare si è ritagliata un ruolo che pochi sembrano oggi in grado di contenere.

Ma oggi, non contano solo accordi economici o dispiegamenti di forze. Il fronte più insidioso è quello dell’informazione. La disinformazione è diventata parte integrante delle strategie geopolitiche. Le narrative si costruiscono e si demoliscono a colpi di algoritmo. L’intelligenza artificiale ha accelerato questo processo: video manipolati (deepfake), bot automatizzati e modelli predittivi alimentano un contesto dove la percezione pesa spesso più della realtà.

Le operazioni psicologiche (Psychological Operations – PsyOps) mescolano sabotaggi informatici, campagne disinformative e pressione diplomatica, ridefinendo i parametri stessi della sicurezza. Tornano strumenti di guerra estremamente dannosi: mine antiuomo e bombe a grappolo, il cui utilizzo è stato riammesso da alcuni Stati. Un inquietante ritorno a logiche che si speravano superate.

Le potenze medie come Turchia e India si muovono con crescente autonomia. L’India, sempre più centrale nel sud globale, e la Turchia, attore ponte, ma poco affidabile, tra NATO e mondo islamico, sono oggi tra i protagonisti di una fase multipolare. Il multipolarismo ha esteso il campo di gioco, ma non ha prodotto maggiore ordine.

Dal COVID-19 in poi, la fiducia tra Stati ha subito un colpo durissimo. La pandemia ha svelato fragilità strutturali e accelerato la competizione sulle risorse strategiche. Russia e Cina Popolare sono diventate più assertive, mentre gli Stati Uniti restano determinati a non perdere la loro posizione egemonica, almeno nel medio termine.

L’Unione Europea ha mostrato segni di risveglio con iniziative comuni in ambito militare ed energetico, ma rimane fragile e spesso indecisa. Mantiene conquiste sociali importanti, ma fuori dai suoi confini la pressione aumenta.

L’Artico e l’Antartide tornano protagonisti. La Northern Sea Route è sorvegliata dalla Russia, la Cina Popolar espande basi e ambizioni nei Poli. Nuove rotte, navi nucleari civili, e l’erosione della spinta ecologista ridefiniscono anche le frontiere geografiche della competizione globale.

In Africa, si placano alcune crisi come quella nel Congo orientale, ma altre restano attive. La Cina Popolare si espande silenziosamente, mentre debolezze strutturali interne rendono ogni stabilità provvisoria. In Sud America, tra crisi argentine, spinte autoritarie in Brasile e il caos venezuelano, il continente resta in bilico, terreno di influenza per nuovi attori.

I conflitti congelati – Transnistria, Karabakh, Georgia– iniziano a dare segni di riattivazione. Il caos chiama altro caos e la Repubblica di Cina – Taiwan resta un nodo che nessuno può ignorare,almeno se rimane il desiderio occidentale di difendere le democrazie.

In questo contesto, armarsi non potrebbe bastare. Serve strategia, intelligence, coesione. Lo Stato deve avere un’idea chiara del futuro, senza cadere nella repressione o nella confusione. Perché l’assenza di direzione è già una forma di debolezza. Siamo in una fase di transizione, ma la direzione sembra ormai tracciata. Molti Stati si muovono timidamente per preservare quanto accumulato, mentre si preparano a una competizione crescente. Il futuro non è scritto, ma il suo tracciato è ormai visibile. Si può rallentare la corsa, forse. Fermarla del tutto, oggi, sembra improbabile.

didascalia: Giordano Gomato, consulente in relazioni internazionali con esperienza in diplomazia bilaterale e multilaterali e cooperazione intergovernativa. Ha lavorato presso organizzazioni internazionali ed ambasciate. Parla fluentemente italiano, inglese e francese

Condividi:

Post correlati